Nel Derby che ha rilanciato il Milan e ribaltato gli equilibri della città, c’è una storia che sfugge alle luci di copertina ma non agli occhi più attenti. È quella di Davide Bartesaghi, classe 2005, entrato nel fuoco di San Siro senza farsi bruciare. Mentre i riflettori inseguivano le parate di Maignan e il guizzo decisivo di Pulisic, il giovane terzino ha costruito la sua partita un centimetro alla volta, con la sicurezza di chi sembra nato per stare lì.
L’arte dell’invisibilità che diventa eccellenza
Il suo Derby è stato un esercizio di “invisibilità intelligente”. Niente errori gratuiti, niente scompensi, niente frenesie. Il modo in cui ha annullato ogni tentativo avversario ha ricordato che la perfezione difensiva non ha bisogno di gesti eclatanti: a volte la differenza la fa proprio il non concedere nulla. Nessuna sbavatura. Nessuna distrazione. Nessuna esitazione. Una prestazione cucita addosso come un abito da veterano, in un contesto dove anche i big rischiano di tremare.
Un Derby da veterano per un ragazzo del 2005
Bartesaghi ha giocato con la calma olimpica di chi conosce i tempi giusti. Ha scelto quando spingere, quando restare, quando accorciare e quando temporeggiare. Una gestione perfetta, figlia di una crescita esponenziale e di una personalità che sta esplodendo senza clamore.
Non c’è stato bisogno di fiammate. È bastato esserci, nel modo giusto, al momento giusto. Ed è forse questa la più grande qualità per un difensore che vuole costruire la propria carriera tra i grandi.
La consacrazione silenziosa
Il Derby gli ha dato la ribalta che non cercava, perché il suo calcio parla attraverso la pulizia delle letture e il peso delle scelte. Una prova così non resta un dettaglio: è un segnale. E dice che il Milan ha tra le mani un terzino già pronto, silenzioso quanto efficace. Nel caos delle stracittadine, Bartesaghi è stato l’ordine. E certe volte, è proprio l’ordine che fa vincere le grandi partite.



