Nel freddo e acceso stadio Philips di Eindhoven, il Napoli ha vissuto una delle notti più difficili della sua recente storia europea. La sconfitta per 6-2 contro il PSV non è solo un risultato negativo ma una fotografia nitida dei problemi tattici, mentali e strutturali che stanno condizionando la squadra di Antonio Conte. Una partita che, più che un semplice scivolone, sembra l’emblema di una fase in cui gli azzurri appaiono disconnessi, fragili e incapaci di reagire alle difficoltà.
Il contesto e i dati che raccontano la disfatta
Il Napoli arrivava in Olanda con l’obiettivo di dare continuità al percorso europeo dopo un avvio non entusiasmante ma comunque discreto. Sulla carta la sfida con il PSV poteva rappresentare un trampolino per riprendere fiducia e risalire nella classifica, ma sul campo si è trasformata in un incubo. Il risultato finale, 6-2 parla da solo ma i numeri raccontano ancor meglio la portata del tracollo.
Il possesso palla ha premiato nettamente gli olandesi con un 58,6% contro il 41,4% azzurro, mentre i tiri totali sono stati 19 per il PSV e appena 10 per il Napoli, con un dato ancora più impietoso nei tiri in porta: 8 a 2. Le occasioni create, la velocità di manovra e la precisione nei passaggi hanno messo in luce la superiorità del PSV, capace di imporre ritmo e intensità per novanta minuti.
Il Napoli era anche riuscito a sbloccare la gara grazie al gol di McTominay al 31′, ma in pochi minuti si è ritrovato ribaltato da un autogol di Buongiorno e dalla rete di Saibari. Da lì in poi, la partita è diventata un monologo olandese, con una doppietta dell’ex Parma Man, e i goal di Pepi e Driouech che hanno completato una serata disastrosa.
Analisi tattica: come il Napoli si è smarrito
Nel primo tempo la squadra di Conte era partita con un assetto equilibrato, cercando di tenere il campo e di sfruttare le fasce per allargare la difesa avversaria. L’idea iniziale era quella di colpire in transizione, cercando gli inserimenti centrali e i movimenti di McTominay tra le linee. Quando il centrocampista scozzese ha trovato il gol del vantaggio con un colpo di testa, sembrava che la strategia stesse funzionando ma sono bastati pochi minuti per mandare tutto in frantumi.
L’autogol di Buongiorno, figlio di una costruzione forzata dal basso, ha messo in crisi la fiducia collettiva. Subito dopo, Saibari ha approfittato di una difesa sfilacciata per firmare il sorpasso. Da quel momento, il Napoli ha smesso di essere squadra. Le distanze tra i reparti si sono allungate, il pressing si è fatto disordinato e la mediana ha perso il controllo del ritmo. Il PSV, con un baricentro alto e linee sempre corte, ha cominciato a comandare il gioco con autorità e a trovare facilmente spazi tra le linee.
Nel secondo tempo il copione non è cambiato, anzi. Il Napoli è rientrato in campo con la speranza di riaprire la partita ma è bastato poco per capire che la differenza di ritmo era evidente. Man ha trovato il terzo gol al 54′ con una grande giocata individuale e da lì in avanti gli azzurri hanno progressivamente perso fiducia, energia e lucidità. L’espulsione di Lucca al 76′ ha poi completato il disastro, lasciando la squadra in inferiorità numerica e priva di riferimenti offensivi. Nel finale, il PSV ha dilagato con facilità impressionante, mentre il Napoli mostrava un volto rassegnato, incapace di reagire anche solo con l’orgoglio.

Cosa è andato storto: fragilità, errori e disconnessione
A guardare la partita nel suo complesso, ciò che colpisce non è soltanto la debacle numerica, ma la fragilità mentale e tattica che il Napoli ha mostrato in ogni fase. La squadra si è disunita dopo il primo episodio negativo, ha perso compattezza, e non ha mai saputo ricostruire la propria identità di gioco. I giocatori sembravano muoversi senza un piano condiviso, con un pressing inefficace e una fase difensiva vulnerabile alle transizioni rapide del PSV.
Le difficoltà si sono viste anche nella gestione del possesso: troppi errori tecnici, troppi passaggi orizzontali, poca profondità e scarsa comunicazione tra i reparti. In particolare, la difesa è apparsa lenta nel reagire ai tagli e alle sovrapposizioni olandesi, mentre il centrocampo non riusciva più a schermare la trequarti. Persino i leader tecnici, da Di Lorenzo a De Bruyne, sono sembrati spenti, quasi spaesati di fronte all’intensità avversaria.
Sul piano psicologico, la squadra è crollata dopo l’espulsione, e ciò rivela un problema più profondo: la mancanza di personalità collettiva nei momenti di difficoltà. Quando la partita è girata contro, nessuno è riuscito a prendere in mano la situazione, a rallentare il ritmo o a cambiare l’inerzia. Conte ha provato a correggere qualcosa con i cambi, ma la sensazione era che il Napoli fosse già svuotato, incapace di reagire davvero.
Conseguenze e lezioni per il futuro
Una sconfitta come questa non può essere archiviata come un episodio isolato. Il Napoli esce da Eindhoven con una serie di domande a cui dovrà dare risposte immediate, perché in una classifica di Champions così equilibrato, ogni punto pesa; la situazione si complica, ma ancor più urgente è ritrovare un’identità di squadra.

Tatticamente servirà rivedere la struttura del centrocampo, dare maggiore protezione alla difesa e soprattutto migliorare la comunicazione tra i reparti. Dal punto di vista mentale, Conte dovrà lavorare per ricostruire fiducia e compattezza, elementi che oggi sembrano completamente svaniti. Servirà anche un approccio più pragmatico: il Napoli deve ritrovare concretezza, essere più cattivo nei duelli, più disciplinato nelle coperture, e capace di soffrire senza disunirsi.
Il 6-2 subito dai partenopei resterà una ferita difficile da rimarginare, ma anche un campanello d’allarme che può diventare occasione di riscatto. È una sconfitta che mette a nudo i limiti tattici e psicologici della squadra, ma che può anche servire a riscoprire umiltà e consapevolezza perché la Champions League non perdona, e per rialzarsi non basta la rabbia: servono equilibrio, lucidità e un ritorno a quella compattezza che aveva reso il Napoli grande solo pochi mesi fa.



