Victor Osimhen ha cambiato continente e prospettive, ma non ha cambiato la sua fame. Da quando è sbarcato al Galatasaray in estate per una cifra che ha fatto rumore – quei settantacinque milioni che hanno chiuso la sua storia con il Napoli – l’attaccante nigeriano ha trovato una dimensione che sembra cucita addosso a lui. Istanbul lo ha accolto come un simbolo immediato, un riferimento tecnico ed emotivo. In un’intervista rilasciata al canale YouTube Smallie, Osimhen ha ripercorso i mesi del suo approdo in Turchia, raccontando un percorso già ricco di immagini chiare. «Arrivare nel club più importante della Turchia, e naturalmente in uno dei migliori del mondo, significa moltissimo per me», ha raccontato con la lucidità di chi sente di essere entrato in un ambiente che lo riconosce per ciò che è: un trascinatore.
La leadership come identità
Osimhen non ha mai nascosto il suo rapporto viscerale con l’agonismo. Nel dialogo, il nigeriano si è definito un uomo che vive la competizione in modo quasi primordiale, una forza che nasce da dentro. «Prima che qualcuno provi a motivarmi, io sono già la mia motivazione», ha spiegato. Il passaggio più emblematico è quello in cui confessa di restare stupito da se stesso: «A volte, guardandomi da fuori, penso: davvero sei tu a fare queste cose?». È una dichiarazione che rivela una consapevolezza quasi feroce, una convinzione che sfocia nella leadership naturale che sta già mostrando al Galatasaray, dove la squadra si appoggia a lui nei momenti chiave.
La sconfitta come avversaria da combattere
In un tratto che lo accompagna sin da bambino, Osimhen parla della sconfitta come di un dolore fisico. «Perdere è crudele», dice con una schiettezza che non lascia margini. Che sia una finale, una partita di strada o una gara di campionato, la sensazione rimane identica: brucia. «Non mi piace perdere. Se succede, dormire è difficile», racconta. In campo, però, quella rabbia si trasforma in un’altra energia, quasi animalesca: «Mi trasformo in un’altra persona, quasi in un mostro». È la descrizione più limpida del suo modo di vivere il calcio, una dichiarazione di identità prima ancora che di professione.
Una personalità costruita sulla fame
L’intervista si chiude con un concetto che sembra riassumere l’intero Osimhen-pensiero. «Voglio vincere sempre. Ogni trofeo che possiedo, ogni premio… li ho meritati tutti. Nessuno me li ha dati». Le sue parole non lasciano spazi a interpretazioni: ciò che ha conquistato, lo ha conquistato a forza di carattere, sudore, ostinazione. Il Galatasaray se lo gode. Lui, intanto, continua a correre, con la sensazione di essere tornato esattamente dove doveva essere: al centro della scena, affamato come il primo giorno.



