All’Oreste Franchi–Tardini, nel sabato che avrebbe dovuto segnare la ripartenza, il Parma inciampa sul dettaglio che cambia il destino: un cross beffardo di Sottil al 38′ che sorprende Suzuki e infila la porta. Chi: il Parma di Cuesta e il Lecce di Di Francesco. Dove: a Parma, davanti a un pubblico diviso tra speranza e disincanto. Quando: alla sesta giornata, con una sosta alle porte. Cosa: 0-1 che pesa più del risultato. Come: con poche trame e zero identità offensiva, fino al forcing finale. Perché: perché dopo un mese di lavoro e sei gare, il gioco ancora non si vede e gli episodi diventano sentenze. Al fischio finale, in tribuna un Krause scurissimo in volto; sul prato, applausi e fischi si mischiano come polvere sollevata sotto il tappeto dell’illusione post-Torino.
La gara: aggressività di facciata, idee opache
Cuesta riparte dal 3-5-2, conferma Britschgi a destra e rispolvera Sørensen in mezzo, alzando Bernabé sul lato mancino per avvicinarlo alle punte. Sulla carta un Parma più aggressivo nella riconquista e verticale nella prima giocata; nei fatti, tanti palloni rubati ma poche linee pulite. I crociati recuperano, pressano, ma la prima mezz’ora dice Lecce: Suzuki tiene in vita i suoi su Berisha (32′), poi salva ancora su Pierotti (44′) dopo lo svarione di Ndiaye. In mezzo, l’episodio: il “gollonzo” di Sottil, un traversone sbagliato che rimbalza maligno oltre il portiere e congela il Tardini.
Nell’intervallo Almqvist per Britschgi e linea a quattro: una via di mezzo tra 4-4-2 e 4-3-3 che però lascia lo svedese a metà del guado, costretto a rincorrere. Arrivano un tiro masticato di Cutrone (52′) e una girata sul primo palo su invito di Løvik: squilli, non svolte. Quando esce lo stesso Løvik e entra Djuric, il Parma torna alla verticale lunga: palla sul bosniaco per la spizzata, Cutrone e Pellegrino a scattare nella seconda palla. Il canovaccio però resta prevedibile.
Nel finale i crociati vivono di palla inattiva: al 92′ Delprato sfiora il pari su punizione, un minuto dopo Benek va vicino sull’angolo. Poi confusione, lanci a sperare e mani giunte. Il Lecce, più compatto, porta a casa il minimo con il massimo dell’ordine.
Cosa resta: identità cercasi (subito)
Il dato che brucia non è solo lo 0-1: sono le 7 reti incassate in 6 partite e la sensazione di una squadra senza un piano offensivo riconoscibile. L’idea del lancio sul centravanti per attaccare la seconda palla è un’arma d’emergenza, non una soluzione strutturale. L’assenza di Bernabé nel finale – dentro Estevez, forse l’unico con il fiammifero per far luce – racconta una rinuncia alla qualità proprio mentre servivano ordine e coraggio. La sosta arriva lunga e necessaria: a Cuesta il compito di costruire, non di sperare nel rimbalzo giusto. Perché non sempre va bene, e oggi si è visto.