Dopo le prime tre partite della stagione 2025-26, il Tottenham pensava di aver trovato la strada giusta. Sotto la guida del nuovo allenatore Thomas Frank, gli Spurs avevano sfiorato la Supercoppa UEFA ai rigori contro il Paris Saint-Germain, travolto il Burnley all’esordio in Premier League e demolito il Manchester City di Guardiola all’Etihad.
Tre mesi più tardi, lo scenario è capovolto. La fiducia iniziale si è trasformata in scetticismo diffuso, quando non in aperta ostilità. La squadra è stata fortunata a perdere solo 1-0 con il Chelsea a inizio novembre e non ha nulla da recriminare dopo il pesantissimo 4-1 incassato nel derby con l’Arsenal. In queste due sfide contro i rivali storici, il Tottenham ha prodotto appena sei tiri in totale e 0,17 di expected goals. L’unico lampo è stato il pallonetto da metà campo di Richarlison che ha beffato David Raya, un gesto isolato nel deserto offensivo degli Spurs.

Da Postecoglou a Frank: identità rovesciata (e problema di punti)
Frank era stato scelto per portare ordine e lucidità in una squadra giovane uscita stremata dall’era Ange Postecoglou, fatta di ritmo forsennato, entusiasmi improvvisi e cadute fragorose. Il danese ha però ribaltato quell’identità al punto da trasformare il Tottenham in una delle squadre più soporifere della Premier League, senza neppure avere in cambio una classifica rassicurante.
Nemmeno i suoi Brentford, tecnicamente inferiori, avevano toccato il livello di povertà calcistica visto negli Spurs nelle ultime settimane. E questo rende la situazione ancora più indigesta a tifosi e addetti ai lavori. A complicare il quadro c’è il contesto interno. Al momento dell’ingaggio di Frank, il CEO Vinai Venkatesham aveva raccontato che l’allenatore danese era risultato il migliore in una checklist di dieci parametri, davanti ad altri trenta candidati. Una scelta presentata come scientifica, oggi messa sotto processo. Se Frank non riuscirà a invertire la rotta durante l’inverno, sarà inevitabile chiedersi quanto quel metodo sia davvero affidabile.

Un centrocampo che non costruisce: il corto circuito Bentancur–Palhinha
Uno dei punti più delicati del progetto è la coppia di centrocampo. Frank ha dato grande fiducia a Joao Palhinha, arrivato in prestito, e a Rodrigo Bentancur, immaginati come doppio schermo davanti alla difesa. La resa, però, racconta altro.
L’analisi di Jamie Carragher prima della sosta di novembre è stata brutale: Palhinha, per qualità tecnica, fatica anche a completare passaggi elementari in zona di impostazione. Nei suoi possessi, spesso la palla torna indietro verso Vicario, accompagnata dai fischi del pubblico. Il portoghese, insicuro, rallenta il gioco con troppi tocchi e zero verticalità. Presi singolarmente, Palhinha e Bentancur sono discreti frangiflutti, ma insieme diventano un freno a mano tirato. Non si smarcano per ricevere, non portano palla tra le linee, sbagliano troppo anche sul corto. Nelle sconfitte nei derby è stato evidente come la zona al limite dell’area degli Spurs, che dovrebbe essere protetta proprio da loro, fosse costantemente esposta ai tiri avversari.
In questo scenario stride la gestione di Pape Matar Sarr, inizialmente tra i migliori contro PSG e City e poi inspiegabilmente ridimensionato nelle gerarchie. Allo stesso modo, profili come Lucas Bergvall – l’unico con caratteristiche da regista arretrato – e Archie Gray hanno avuto pochissimo spazio, nonostante le prestazioni dei titolari siano state regolarmente sotto standard. Se Frank vuole davvero ridare vita al suo Tottenham, il primo cantiere da aprire è il cuore del campo.

Un Tottenham prevedibile: il possesso che non esiste
L’assenza di qualità nel palleggio centrale ha reso il Tottenham drammaticamente leggibile. Il copione è sempre lo stesso: Guglielmo Vicario serve Micky van de Ven, che restituisce palla al portiere, di nuovo retropassaggio al difensore, poi lancio lungo nel corridoio laterale. Il più delle volte, nessuno va a prendersi quel pallone e il possesso finisce regalato all’avversario.
Frank ha voluto semplificare il gioco, ma ha esagerato. Come ha spiegato Gary Neville, c’è una differenza netta fra giocare in modo diretto e calciare lungo senza alcun piano. Oggi il Tottenham sembra incarnare la seconda opzione. Il solo aspetto strutturato della fase offensiva resta quello dei calci piazzati: troppo poco per un club che ambisce a competere stabilmente ai vertici.
Il paragone con il passato è inevitabile. Ai tempi di Mauricio Pochettino, prima di diventare una squadra capace di usare anche la palla lunga in modo chirurgico, il Tottenham aveva imparato a costruire dal basso quasi per principio. L’urlo “Ai piedi, niente lanci lunghi!” rivolto a Eric Dier nella famosa sfida col Liverpool nel 2015 restituiva l’idea di una filosofia chiara. Frank, invece, si ritrova in una terra di mezzo: non un possesso ragionato, non un calcio diretto strutturato. Solo una squadra spenta, incapace di risalire il campo con logica e continuità.

Terzini sprecati e ruolo di Udogie
Il problema dei terzini è meno vistoso, ma evidenzia comunque un limite di costruzione. Il Tottenham oggi può contare su appena tre esterni di ruolo, e l’infortunio di Destiny Udogie ha complicato ulteriormente i piani.
Pedro Porro, uno dei migliori terzini offensivi d’Inghilterra, non è ancora entrato davvero in stagione. Arriva spesso in zone promettenti, ma paga la confusione generale: compagni fuori tempo, linee di passaggio inesistenti, scarsa coordinazione dei movimenti. Nel derby con l’Arsenal, la scelta di schierare una difesa a cinque senza di lui, preferendogli Djed Spence, ha sollevato più di un interrogativo.
Spence, impiegato a sinistra, ha finito per rientrare costantemente verso il centro, contribuendo a intasare una zona del campo già affollata e improduttiva. In assenza di Udogie, avrebbe avuto senso provare con più continuità Van de Ven largo, come già fatto nella nazionale olandese.

Xavi Simons, talento bloccato
Il capitolo Xavi Simons è un altro nervo scoperto. A inizio agosto, il Tottenham sembrava pronto a chiudere per Eberechi Eze, salvo vederselo sfilare dall’Arsenal all’ultimo istante. Come consolazione era arrivato Simons, originariamente destinato al Chelsea.
Il contraccolpo psicologico si è visto nel derby: Eze firma una tripletta, mentre Simons guarda dalla panchina. Il paradosso, come fanno notare molti tifosi, è che con l’attuale prudenza di Frank probabilmente anche Eze sarebbe rimasto fuori in una partita del genere.
Simons, reduce da un’annata brillante in Bundesliga, sta ancora prendendo le misure alla Premier. Ma resta uno dei pochi in grado di accendere la luce tra le linee. Una delle rare volte in cui gli è stata concessa la sua posizione naturale, a Brighton, il numero 10 ha trascinato la squadra al 2-2 dopo essere entrata in svantaggio.
Nonostante questo, Frank continua a frenarlo, complice un centrocampo arretrato che non si assume il rischio di servirlo tra le linee. In una squadra che produce così poco, l’idea di tenere a mezzo servizio il talento più creativo appare difficilmente difendibile.

“Se non corri rischi…”: il Tottenham che tradisce la sua stessa idea
C’è una frase di Frank che i tifosi stanno tornando a citare con una certa ironia. Alla presentazione, il tecnico aveva spiegato così la sua filosofia: «Se non corri rischi, corri comunque dei rischi. Se non rischi con la palla, non puoi creare nulla».
Eppure, il Tottenham visto in autunno è esattamente l’opposto: una squadra che si espone comunque ai rischi, senza prendersi la responsabilità di giocare. Le prestazioni di agosto contro PSG e City, dove gli Spurs avevano aggredito alto e messo in difficoltà due corazzate, sembrano quasi un ricordo lontano.
Dopo il tracollo con l’Arsenal, lo stesso Frank ha ammesso: la squadra è stata schiacciata, troppo passiva, incapace di uscire palla al piede. Ha provato ad aggredire, ha detto, ma è mancata totalmente la capacità di tenere il campo con continuità.

Scelte tattiche confuse e identità smarrita
Contro l’Arsenal, Frank è passato al 5-4-1, ma il piano è crollato dopo i due gol incassati prima dell’intervallo. Carragher ha criticato duramente questa scelta, sottolineando come la vera falla della difesa a cinque siano i due centrocampisti centrali, esattamente il reparto più fragile degli Spurs.
Il tecnico danese ha difeso le proprie decisioni, rivendicando il fatto di aver cambiato sistema all’intervallo e di assumersi ogni responsabilità. Ma il punto non è solo il modulo. Il Tottenham cambia spesso uomini e disposizione offensiva, senza però costruire un’identità riconoscibile.
Una squadra può adattarsi, trasformarsi, cambiare pelle nell’arco di una partita. Ma per farlo deve avere prima una base chiara, un’idea condivisa. Al momento, gli Spurs sembrano un cantiere in cui ogni modifica aggiunge confusione invece di togliere problemi.

Comunicazione, pressione e un club in retrocessione emotiva
A differenza di Frank, Ange Postecoglou, con tutti i suoi limiti, aveva una dote indiscutibile: sapeva parlare. Gestiva media e ambiente con una naturalezza tale da trasformare perfino le sconfitte in tappe di un “processo inevitabile”. Poteva rivendicare un record di punti all’esordio e una Europa League riportata a casa come scudo narrativo.
Frank, al contrario, appare spesso irrigidito. L’uscita in cui ha elogiato per errore l’Arsenal degli Invincibili mentre dichiarava «perderemo al 100% delle partite» ha fatto il giro dei social. La battuta su «chi è Eze?», arrivata proprio prima della sua tripletta, è diventata simbolo di una comunicazione fuori fuoco.
Il problema, però, va oltre il singolo allenatore. Il Tottenham, rispetto a sei-sette anni fa, sembra aver perso terreno su tutti i fronti. La rosa è meno competitiva, lo stadio – presentato come arma definitiva – è bello ma non intimidatorio, la sensazione generale è quella di un club che ha smarrito la propria ambizione.
Frank si ritrova a dover spegnere incendi che non ha appiccato lui, ma che fanno comunque parte del ruolo. I migliori allenatori, a questo livello, sanno reggere il peso di squadra, società e ambiente. Al momento, il danese è ancora lontano da questo standard.

Inverno decisivo: tra PSG, Premier e un futuro da scrivere
Il futuro del tecnico è tutt’altro che garantito. Le prossime partite, tra Champions e Premier, possono trasformarsi in un giudizio sommario. Le sfide con PSG, Fulham, Newcastle e Brentford rischiano di segnare un prima e un dopo.
Al Parc des Princes servirà più di un miracolo per fare risultato, ma almeno una prova di coraggio potrebbe ricucire qualcosa con i tifosi. Poi ci saranno il confronto con il vecchio rivale Marco Silva e il ritorno simbolico contro il suo ex Brentford, senza dimenticare la trasferta a St James’ Park, terreno ostile ma occasione per dare un segnale forte anche fuori casa.
Oggi il Tottenham di Thomas Frank rischia di passare alla storia come una delle squadre più rinunciatarie viste in Premier League negli ultimi anni. Se vuole evitare questa etichetta, il tempo delle cautele è finito. È il momento di tornare a correre davvero dei rischi, con la palla e senza. Perché, come ha detto lui stesso, non rischiare è già il rischio più grande.



