Certe sconfitte pesano più di altre. Non solo per il punteggio, ma per quello che rivelano. A Como, in un pomeriggio di ottobre, la Juventus ha perso molto più di una partita: ha perso certezze, convinzioni, e forse anche un po’ della sua identità. I lariani di Cesc Fàbregas – anzi, del suo spirito, visto che era squalificato – hanno dominato con l’eleganza di chi gioca senza timori e la lucidità di chi sa di essere in un momento magico.
Nico Paz, argentino di scuola Real Madrid, è stato il protagonista assoluto. Gol, assist, visione, personalità: ha giocato come se fosse a Valdebebas, non al Sinigaglia. Prima il cross perfetto per Kempf dopo appena quattro minuti, poi la rete del definitivo 2-0 al 79’, un sinistro a incrociare sotto l’incrocio dei pali che ha gelato Di Gregorio e tutto il settore ospiti. Due giocate da campione, due pugnalate a una Juve smarrita, che da più di un mese non sa più vincere e da due partite non trova nemmeno la via del gol.
Una Juve che non segna, non convince e non reagisce
La fotografia della partita è impietosa: due tiri nello specchio, zero reti, tante idee confuse. Tudor ha scelto la difesa a quattro, provando un 4-2-3-1 più ambizioso, ma il coraggio si è esaurito al primo pallone inattivo. Al quarto minuto, Kempf approfitta di un’amnesia difensiva e firma l’1-0. Da lì in avanti, la Juventus ha avuto fiammate, non trame. Qualche accelerazione di Yildiz, un paio di iniziative di Thuram, ma mai la sensazione di poter cambiare il destino della gara.
Nel secondo tempo il copione non cambia: la Juve tiene palla, ma non punge. David continua a vagare nel nulla, Vlahovic entra ma non incide, e anche la fantasia di Conceiçao si spegne tra i passaggi orizzontali. Si direbbe che questa squadra viva un paradosso: è piena di qualità individuali, ma povera di convinzione collettiva. Non manca la volontà, manca l’anima.
Il Como cresce, la Juve si rimpicciolisce
Il Como ha giocato la partita perfetta. Ordinato, compatto, cinico quando serviva. Ogni ripartenza sembrava scritta con la penna di Fàbregas, ogni movimento di Paz una dichiarazione d’intenti. Persino Morata, pur restando all’asciutto, ha saputo dare profondità e sacrificio. Il 2-0 finale non è solo giusto: è inevitabile.
E ora? La Juventus torna da Como con più dubbi che punti e un viaggio verso Madrid alle porte. L’idea che la sconfitta sia solo un incidente non regge più. La crisi, quella vera, è cominciata. E mentre il Como sogna in grande, sulle rive del Lago, a Torino si torna a discutere di un problema che ha radici più profonde del risultato: questa Juve non segna perché non crede più in se stessa.
Forse il più bel gesto tecnico della serata non è stato neppure un gol, ma un sorriso di Nico Paz al fischio finale. Quello di chi sa di aver vissuto la sua notte perfetta. Quello di chi, al contrario della Juventus, ha già capito cosa significa crescere.